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Per Aspera Ad Veritatem n.24
Nel cuore dell’Islam

Ahmed Rashid - Ed. Feltrinelli, Milano, 2002



Il lavoro di A. Rashid, corrispondente di Far Eastern Economic Review e di altre Riviste, esordisce con un duplice approccio storico. Nella prima parte, riferendosi ai movimenti autoctoni islamici dell’Asia Centrale dal sesto secolo a.C. in poi; nella seconda, indagando sul nuovo fenomeno del radicalismo islamico nelle cinque repubbliche del Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan.
Secondo l’Autore, il concetto di Jihad è mal interpretato dal pensiero occidentale, che lo ha identificato nella guerra santa. Invece, come predicava Maometto, la jihad maggiore si riferisce alla interiorità della persona, ossia è l’impegno di ogni mussulmano a migliorare se stesso. Migliorando se stesso, il seguace della jihad diventa anche un elemento utile alla propria comunità. Poiché l’Islam prevede la possibilità di ribellarsi a un governante ingiusto, la jihad può diventare il mezzo per una mobilitazione in direzione di uno scontro politico e sociale: in questo caso l’accezione è quella di jihad minore.
I nuovi gruppi jihadisti non hanno programmi economici né piani politici, né progetti per la trasformazione di una società corrotta in una giusta. La loro attività di governo prevede un solo capo carismatico, un amir che con il suo carattere, la devozione religiosa e la purezza sarà in grado di guidare la nuova società. Si spiegano così i fenomeni di culto di Osama Bin Laden, capo del movimento fondamentalista Al Quaeda e di Juma Namangani, capo del movimento islamico dell’Uzbekistan Miu, movimenti che hanno adottato come filosofia politica e sociale la jihad minore. La stessa sharia, la legge islamica, viene interpretata alla stregua di un codice penale che reprime i propri cittadini disconoscendo quei valori umanisti e spirituali insiti anche nell’Islam.
L’Autore tenta di rispondere al quesito se le cinque ex repubbliche dell’U.R.S.S. Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan, riusciranno a costituire un ordine democratico, sfruttando il nazionalismo etnico come forma di coesione o se invece si avvicineranno sempre più ai movimenti radicali islamici come quello dei Talebani e di Osama bin Laden.
In Tagikistan la rinascita islamica ha comportato una guerra civile di cinque anni, dal 1992 al 1997, che ha portato all’istituzione di un governo eletto democraticamente, in cui sono rappresentati i partiti islamici legali che hanno subito le minacce dei vari movimenti estremisti di medesima estrazione.
L’Autore individua il nuovo fenomeno del radicalismo islamico in Asia centrale, soprattutto con riferimento a tre maggiori movimenti:
- il Pri (partito della rinascita islamica), nato clandestinamente nel 1991 nel Tagikistan, che si impegna a diffondere l’Islam, promuovere una rinascita spirituale al fine di attuare l’indipendenza economica e politica del Tagikistan;
- l’Hizb ut-Tahrir al-Islami (Ht) (partito della liberazione islamica), che intende riunire le repubbliche centroasiatiche e poi il resto del mondo mussulmano servendosi di mezzi non violenti e con il fine di istituire un califfato analogo a quello fondato nell’Arabia del VI secolo dopo la morte di Maometto;
- il Miu, che è riuscito a diventare un gruppo transnazionale in quanto ha reclutato dissidenti tra ceceni, daghestani del Caucaso e uiguri della provincia cinese musulmana dello Xinjiang.
Altri attori influiscono poi sullo scenario centroasiatico e sono i vicini mussulmani a sud dell’Asia Centrale, ossia Pakistan, Iran e Turchia, portatori di interessi contrastanti e di rivalità. Dopo l’undici settembre 2001, nello sforzo di eliminare i Talebani e Al Quaid’a, le tre potenze mondiali Stati Uniti, Russia e Cina si sono trovate unite nella lotta al terrorismo e, di conseguenza, all’estremismo islamico sia in Afghanistan che in Asia Centrale. Ovviamente non è ancora ben chiaro come evolveranno i rapporti tra le tre potenze quando terminerà definitivamente la guerra in Afghanistan, poiché per ora, secondo l’Autore, queste si trovano in balia di forze che esse stesse hanno scatenato ma di cui non hanno più il controllo. Se oggi hanno interessi comuni a indebolire i Talebani e il Miu e a rafforzare la capacità militare degli stati centroasiatici, rimangono avversarie sulle pipeline e sul modo migliore di sfruttare le risorse energetiche di quei paesi.
La parte finale del libro è dedicata proprio ad una disamina degli interessi nella regione delle tre grandi potenze e dei paesi musulmani, con l’intento di fare chiarezza per la comprensione degli scenari futuri.



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